Scrivo questo articolo come personale memorandum (tanto nel senso di «pro-memoria», quanto in quello di «esposizione generale di un argomento»). Qualche giorno fa nell’ambito dei Crossover Fridays organizzati da Milano Classica ho potuto partecipare a un paio di lezioni tenute dal soprano Silvia Colombini. Silvia è l’ideatrice di ARS, un metodo di canto innovativo che affonda le sue radici in presupposti di carattere filosofico e psicologico, nonché nella personale esperienza di chi lo ha creato. Per chi se lo stesse chiedendo: no. Non ho cominciato a prendere lezioni di canto! I ripetuti fiaschi al cospetto del loggione dei bagnoschiuma della mia doccia hanno già troncato qualsiasi tentativo di carriera in quel senso. Ho partecipato alle lezioni col mio violoncello, in quanto ARS è pensato anche per gli strumentisti – e, stando al sito, per il coaching aziendale. Mi piacerebbe quindi parlarvi un po’ della mia (breve) esperienza con ARS: cos’è, come funziona, perché bisognerebbe provarlo e quali potrebbero essere i suoi limiti.
ARS sta per «Arte della Resistenza Superata». Già dall’acronimo è possibile intuire come al pari di altri metodi che si proclamano innovativi, anche questo parte dalla ricerca di nomi diversi per indicare qualcosa che si conosce già, con lo scopo di osservarla da una prospettiva nuova. In questo senso l’«errore» diventa una «resistenza», che non deve quindi essere «corretta» ma «superata». L’«allievo» si trasforma nell’«apprendente», un soggetto collocato allo stesso livello dell’insegnante e rispettato per la sua individualità, che non “subisce” passivamente la lezione, ma ne è parte attiva e coinvolta.
Quali sono i presupposti teorici?
Silvia Colombini ha dichiarato di aver trovato un riscontro significativo per le sue teorie nel pensiero dello psicologo israeliano Daniel Kahneman. Con Amos Tversky, Kahneman ha declinato l’ipotesi che esistano due sistemi di pensiero comunicanti tra loro, ma con caratteristiche differenti. Il Sistema 1 rappresenta l’ambito dell’intuizione e non richiede alcuno sforzo in quanto i processi psicologici sono autonomi, veloci e impulsivi. Il Sistema 2, invece, è la macchina della riflessione: si presenta lento, logico-razionale e parecchio dispendioso dal punto di vista energetico. La Colombini ha applicato questa distinzione nel contesto della didattica musicale per poter meglio comprendere in che modo avvenga il processo di apprendimento.
Quante volte ci sarà capitato di ripetere e ripetere un intero passaggio inciampando sempre sullo stesso maledetto punto, magari continuando a imprecare contro noi e il nostro strumento per colpa di quell’errore? Secondo ARS eseguire male più volte un frammento non porta ad altro se non a farcelo imparare sbagliato. Per superare una resistenza, invece, occorre isolare il problema sino alla singola nota, rallentare significativamente il tempo di esecuzione e ripeterlo bene due o tre volte. Fare dunque una pausa, scorrere il feed del nostro shopping online preferito, tornare poi a ripetere il passo un altro paio di volte, e così via. Lo scopo ultimo è quello di far diventare intuitivo ciò che in un primo momento deve necessariamente essere riflessivo. Il Sistema 2, infatti, quello attraverso il quale apprendiamo qualcosa, richiede molta energia per funzionare e ha una soglia d’attenzione davvero bassa. Per questo motivo necessita di assoluta lentezza nello studio e di un numero di pause che tenda a raggiungere quello dell’operatore modello di un ufficio comunale.
Un metodo fatto di immagini
Una delle caratteristiche che più mi ha colpito del metodo ARS è quella di ricorrere a tante – davvero tante – immagini per esemplificare i diversi cardini del sistema. Tra le più importanti c’è senza dubbio quella della scimmia deficiente. Silvia crede che gli apprendenti siano individui intellettuali da rispettare nelle loro idee e nel loro pensiero. I loro muscoli no. Quelli si comportano come scimmie deficienti – appunto – che hanno bisogno di essere guidate passo lento dopo passo lento nell’acquisizione di un movimento, di un gesto, nel passaggio dal riflessivo all’intuitivo. Ricordo poi barattoli di fagioli, minestroni, pomodori di Sorrento e tutta una credenza di immagini collegate una serie di problemi o “casi” che possono verificarsi in fase di apprendimento.
L’obiettivo di ARS è quello di fare in modo che al momento dell’esecuzione il performer si trovi in una sorta di trance, ovvero immerso in quello che nel sistema viene chiamato flusso. Nel flusso tutte le azioni e i tecnicismi che devono essere compiuti per emettere suoni avvengono intuitivamente e il musicista può concentrarsi finalmente su quello che è il suo vero compito: fare musica. Dedicarsi alla gestione dell’orizzontalità delle frasi, a rapportarsi con il suo pubblico e – perché no – a emozionarsi ed emozionare.
Alcune riflessioni
La mia breve esperienza con ARS è stata decisamente positiva. Nonostante la lentezza intrinseca del metodo, i suoi risultati sono pressoché immediati ed è subito possibile cominciare ad applicare i suoi precetti in fase di studio. Tuttavia, mi ritrovo ad avere alcuni dubbi legati forse alla mancata possibilità di approfondire certe questioni durante le lezioni. Uno tra tutti è il ruolo della stessa Silvia Colombini. Mi chiedo, infatti, se l’apparente efficacia del metodo dipenda più dalla validità dei suoi concetti o piuttosto dalla vulcanica personalità di chi lo ha ideato. Se il sistema di Silvia funziona anche senza Silvia, allora mi auguro un fecondo proselitismo! Un’altra questione è quella dell’apprendente. Dato che ARS sembra dipendere molto dalle immagini e dalle suggestioni provenienti dall’insegnante, mi domando se una volta tornato nella solitudine della propria abitazione l’aspirante cantante possa riuscire a lavorare su se stesso in autonomia. Detto altrimenti, ARS è un metodo per insegnanti o per studenti? Serve più al discente per imparare a discere, o al docente per imparare a docere?
Mi auguro che i miei colleghi possano avere l’occasione di far lezione col metodo della Colombini. Anche soltanto per poterne parlare poi tutti insieme, magari davanti a una bella zuppa di fagioli con pomodori di Sorrento.
Foto di Marco Fortuna
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