Roma, 3 febbraio 2018. Un camion e un furgoncino provenienti dal nord Italia sono parcheggiati nei pressi delle Terme di Diocleziano. Nell’uno è stato trasportato un enorme frigorifero, nell’altro giace contenuto in un sarcofago di legno un impossibile violoncello fatto di ghiaccio. Per quella sera è previsto un concerto nel quale, all’interno di una bolla di plastica a parecchi gradi sotto lo zero, Giovanni Sollima darà vita alla voce unica e arcaica dell’opera di Tim Linhart. Qualcosa, però, sembra andare storto.
Il frigorifero non funziona. Non importa in quale maniera i tecnici tentino di rimetterlo in moto: la macchina che permette il mantenimento di una temperatura adeguata all’interno della bolla per evitare lo scioglimento del fragilissimo strumento non sembra avere la minima intenzione di avviarsi e mostra sul display un inesorabile “OFF”. Linhart va da Sollima e cerca di spiegargli la situazione. Ci sono due possibilità: annullare il concerto oppure assecondare una follia appena partorita dalla mente del liutaio del ghiaccio. Ovviamente, si decide per la seconda.
Il concerto
Il pubblico prende posto tra le sedie ordinate nello spazio senza tempo delle Terme, ma davanti a loro non è stata montata alcuna bolla di plastica. In qualche maniera, la voce del frigorifero rotto è arrivata all’attenzione di tutti e nella mente di ciascuno aleggia un sentimento comune: «a quale concerto sarò mai capitato?». Sollima prende posto sulla sua sedia. Ha in mano un archetto ma tra lui e il pubblico non vi è alcuno strumento. La follia di Tim può cominciare.
Il violoncello di ghiaccio viene portato con molta attenzione dal suo esecutore. Sollima lo accorda e comincia a eseguire i brani in scaletta: Preludio dalla prima Suite di Bach, Hell I, Terra Aria e Terra Acqua. Lo strumento non potrebbe reggere che qualche minuto alla temperatura dell’ex frigidarium e qualche goccia comincia già a nascere dal ghiaccio, a cadere per terra, a farlo morire. Ma ecco quattro persone circondare Sollima e il violoncello. Hanno in mano dei colini colorati con dentro del ghiaccio e li agitano per far nevicare sullo strumento. Il pubblico non riesce a credere a ciò che ha davanti.
Il film
N-Ice Cello è un documentario di Corrado Bungaro che racconta la voce e il viaggio di un violoncello impossibile dal Trentino a Palermo. Numerosi i temi che questo film pone all’attenzione dello spettatore: dallo scioglimento dei ghiacciai alla sostenibilità, dalla preziosità dell’acqua ai migranti nel Mediterraneo. Credo che il film sia un grande inno alla Cura, nel significato che Heidegger – e se volete anche Battiato – hanno cercato di costruire: prendersi cura dell’Altro (animato o non che sia) non è un’azione, ma è la struttura ontologica fondamentale dell’Esserci. Per essere, dobbiamo essere cura.
‘La Cura’, mentre stava attraversando il fiume scorse del fango cretoso; pensierosa ne raccolse un po’e incominciò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa avesse fatto, interviene Giove. La ‘Cura’ lo prega di infondere lo spirito a quello che aveva formato, Giove glielo proibì e pretendeva che fosse imposto il proprio. Mentre la ‘Cura’ e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato formato fosse imposto il proprio nome, perché gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò loro la seguente equa decisione: Tu, Giove, poiché hai dato lo spirito, alla morte riceverai lo spirito; tu, Terra, poiché hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fintanto che esso vivrà, lo possieda la Cura. Poiché la controversia riguarda il suo nome, si chiami homo poiché è fatto di humus.
Foto di Pino Ninfa.
Leave A Reply