Ho scritto Mare Nostrum nel 2018 in occasione della prima edizione della MaMu Cello Tenzone. Il Quartetto Zuena era appena nato e l’intenzione era quella di proporre un brano originale che in qualche modo potesse essere lo specchio della personalità di ciascuno dei membri della formazione. Allo stesso tempo si voleva tentare l’azzardo di affrontare un tema sociale importante come il racconto della diversità quale elemento costitutivo di un’unità superiore. Come tenere tutto ciò insieme? E come farlo con la musica? La risposta: il mare.
Non un mare qualsiasi, ma il Mar Mediterraneo. Più di 3 milioni e mezzo di chilometri cubi di acqua per 46 mila chilometri di costa. Il tutto donato dalla deriva dei continenti agli occhi e ai sogni di 450 milioni di abitanti, che nei secoli sono riusciti a realizzare un’immensa rete di strade tra le onde. Il «medius» in «mediterraneus» è riuscito a mutare storicamente il suo senso da «mare in mezzo alle terre» a «mare come mezzo tra le terre», a trasformarsi da disgiunzione a congiunzione, a diventare nostrum. Così, come in un cerchio intorno non al fuoco ma all’acqua, i popoli della costa hanno raccontato se stessi e la loro diversità, riconoscendosi sempre e comunque come appartenenti a qualcosa di più grande. Come il mare.
Dall’idea allo spartito
Con gli Zuena (Federica, Carla e Simone) abbiamo deciso di selezionare alcune tra queste popolazioni e di prendere in prestito una loro melodia. Ogni tema diventa così la tappa di un viaggio che coinvolge tanto gli spettatori quanto gli esecutori. Il quartetto, inoltre, affronta una partitura poco “ortodossa” – non in senso religioso, o forse sì? – in quanto la solita divisione in violoncelli I, II, III e IV è funzionale solo all’impaginazione, mentre per ciascuno di essi è previsto un momento solistico in cui esprimersi nell’interpretazione dello stile musicale tipico della melodia in questione. Il tutto è arricchito dall’utilizzo di tecniche estese di esecuzione che aiutano a enfatizzare ancora più il carattere originario e popolare del brano.
Si parte dal Sud Italia, dalla Puglia. La pizzica di Aradeo morde i violoncellisti coinvolgendoli in una danza che in molti hanno fatto risalire ai rituali precristiani legati alla Dea Madre. Il 2 del canto si innesta nel 3 del tamburello, rendendo per tutti difficile frenare l’impulso ad alzarsi in piedi e cominciare a ballare. Si passa alla cultura ebraica e alla sua storia con Eli Eli, una melodia struggente per la poesia Towards Caesarea di Hannah Szenes. Si racconta che non si fece bendare il 7 novembre 1944, quando un plotone d’esecuzione nazista le puntava i fucili contro.
Mio Dio, mio Dio
fa che non abbiano mai fine
la sabbia e il mare
il mormorio delle acque
il luccichio del cielo
la preghiera degli uomini
sabbia e mare
mormorio delle acque
luccichio del cielo
preghiera degli uomini
La tappa successiva è la Spagna moresca nella partitura impressionista di Francisco Tárrega. Recuerdos de la Alhambra (1896) da classico della letteratura per chitarra diventa un canto malinconico a due voci, in quanto i violoncelli I e II si dividono le due parti – una in minore, l’altra in maggiore – di cui si compone la melodia. Shareno Horo ci trasporta quindi nei balcani e impegna il quartetto in un aksak di 11/16 “zoppo” nel mezzo.
La tappa finale è la Grecia del medioevo, culla dell’Hasapiko. Si ipotizza che il brano – il quale preso letteralmente significa «la danza del macellaio» – venisse usato per accompagnare la messa in scena di combattimenti armati di spade. L’immagine della danza delle spade ci permette infine di “chiudere il cerchio” e di immaginare un collegamento atavico con la pizzica-scherma di Torrepaduli, nel Salento dal quale siamo partiti.
Potete trovare partitura e parti (in cartaceo e pdf) sul sito di Preludio.
Foto di Paolo Vasco dell’Oro
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