La domanda nasce da una necessità. Percepiamo la mancanza, il bisogno o la volontà di ottenere qualcosa e quindi facciamo domande.
Si potrebbe dire che tutto quello che facciamo, ogni azione, dal gesto più piccolo all’acrobazia più pericolosa, nasca da un bisogno. Se non avessimo alcuna necessità o se fossimo privi di desideri, molto probabilmente la mattina non ci alzeremmo dal letto e la nostra vita non sarebbe tanto diversa da quella di un cactus. Ma qual è il carattere peculiare della domanda e che cosa la distingue da un gesto qualunque?
Il gesto (un movimento qualsiasi del corpo o una serie di movimenti) è qualcosa che un soggetto attua nei confronti di un oggetto. Per intenderci, quando beviamo un caffè, tiriamo un calcio a un pallone o scattiamo una fotografia, compiamo un gesto. Un gesto, però, può anche essere rivolto a un altro soggetto, cioè a una persona diversa da noi. In questo caso ci troviamo nell’ambito della comunicazione non verbale in quanto il gesto funge da simbolo attraverso il quale si trasmette un significato particolare. Ad esempio, con un cenno della mano posso dire «ciao!», con un bacio «ti amo», con un ampio movimento del braccio augurare tante brutte cose a chi ci taglia la strada quando siamo in macchina.
Che significa domandare?
Pochi sanno che la parola ‘domanda’ deriva dal verbo latino demandare (de + mandare). Mandare veniva usato col significato di affidare, ordinare, raccomandare o anche ‘dare in moglie’. Dietro questo termine si celava, dunque, un carattere imperativo e vincolante nei confronti di colui che riceveva il mandato. D’altro canto, il prefisso de- in demandare è legato ad una sorta di privazione del soggetto nei confronti dell’oggetto in questione. Lascio qualcosa che mi appartiene (un oggetto caro, un compito…) per affidarlo alla cura di una seconda persona, la quale mi resta vincolata da un obbligo. Questo è il carattere mandatorio della domanda.
Sempre nel vocabolario latino troviamo petitio, un termine con un significato più simile a quello di ‘domanda’ ma del tutto opposto a quello mandatorio. Esso, infatti, vuol dire richiedere, nel senso di voler ottenere qualcosa. Il suo derivato nella lingua italiana è ‘petizione’, termine col quale comunemente si identifica la richiesta ufficiale di provvedimenti legislativi di interesse generale. Potremmo definire questo come il carattere petitorio della domanda.
Anche i termini quaestio e rogatio traducono ‘domanda’. Il primo significa chiedere e nell’italiano lo ritroviamo alla radice di questionario (insieme di domande). Il secondo era utilizzato tanto nel linguaggio giuridico quanto in quello religioso nel senso di chiedere e pregare. È all’origine dell’italiano ‘interrogare’ e tutt’ora si utilizza ‘rogare’ negli atti amministrativi o giuridici. Quaestio e rogatio hanno in comune la volontà di sapere qualcosa e questo è il carattere questionante della domanda.
Diversi e persino opposti, allora, possono essere i significati che si nascondono dietro le sinuose forme di un punto interrogativo. Non resta che concludere con un’ultima domanda: cosa succede quando chi pone la domanda e la persona alla quale essa è rivolta coincidono? Cosa succede, insomma, quando interrogo me stesso?
Quaestio mihi factus sum.
[articolo comparso sull’ormai perduto Quellidelledomande.it]
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